A cura di Luciana Zambon, responsabile progetto sostegno a distanza in Italia
Il 16 giugno di ogni anno si celebra nel continente africano la “Giornata del Bambino Africano” (Day of the Africa Child), istituita nel 1991 dall’Unione Africana per ricordare il massacro degli studenti avvenuto a Soweto (Sud-Africa) durante la protesta contro la segregazione razziale nell’accesso all’istruzione. Negli anni è diventata un’occasione per attirare l’attenzione del mondo sulla condizione di vita di milioni di bambini e di ragazzi dell’Africa, un continente in costante crescita demografica. Qualche anno fa, durante uno dei miei viaggi presso i nostri partner locali, i Comboni Samaritans of Gulu, ho avuto l’occasione di partecipare a questo evento che in quell’anno, per l’Uganda, era stato organizzato proprio a Gulu. Centinaia di bambini e ragazzi, in perfetta divisa scolastica, accompagnati dai loro insegnanti, hanno cantato e ballato di fronte alle autorità cittadine rivendicando i loro diritti, il loro slogan più urlato era: “Education, education, no child labour!” (istruzione, istruzione, no lavoro minorile!). Non basta però una giornata celebrativa all’anno per risolvere un problema molto diffuso. Benché negli ultimi anni in Uganda qualche passo in avanti sia stato fatto, ancora il 30% dei bambini tra i 5 e i 14 anni (età legale per il lavoratore) è costretto a lavorare per il sostentamento della famiglia.
Sulla carta il governo ugandese riconosce il diritto del bambino all’istruzione scolastica ma, in pratica, i finanziamenti necessari vengono spesso dirottati su altri fronti (esercito, estrazione petrolifera, mantenimento dello stato di privilegio della classe politica etc). La formazione degli insegnanti è spesso inadeguata e numericamente insufficiente, le strutture scolastiche governative sono poche e spesso fatiscenti. Le classi sono troppo numerose e non è raro che arrivino ad avere più di cento studenti. Sono quindi nate parecchie scuole private, con un forte divario di costi e qualità, rispetto a quelle pubbliche. Pagare le tasse scolastiche è proibitivo per molte famiglie tanto più che tutte le scuole, sia private che governative, richiedono molti requisiti scolastici a pagamento (requirements): sedie, scope, cemento, carta igienica, sapone, qualche chilogrammo di riso, mais etc. Ogni studente deve presentarsi in perfetta uniforme, con tutto quello che gli viene richiesto, altrimenti, nel giro di poco tempo o al massimo alla fine del trimestre, viene allontanato dalla scuola. Per i bambini è una grande umiliazione, ma quelli più desiderosi di studiare e più vivaci non demordono, si ripresentano il trimestre successivo o tentano di entrare in un’altra scuola sperando di farla franca, ma il rito dell’allontanamento si ripete. Però può succedere che un insegnante, o un direttore sensibile, segnali il caso al nostro ufficio locale e così il bambino viene preso in carico e inserito nel progetto “sostegno a distanza”.
Ecco perché in Uganda studiare non è un diritto che si può esercitare liberamente, ma è un privilegio riservato a pochi. Ecco perché spesso i ragazzi scrivono nelle loro lettere: “Grazie di pagarmi le tasse scolastiche e i requirements, perché non sono mai stato allontanato da scuola”; oppure: “Sono felice di comunicarti che sono stata promossa e, siccome tu mi paghi le tasse scolastiche e i requirements, non sono mai stata mandata via da scuola”.
Ecco perché la collaborazione di Good Samaritan con la ONG Comboni Samaritan of Gulu, che dura ormai da quasi 25 anni, è una garanzia di continuità al sostegno della parte più vulnerabile della popolazione del nord Uganda.Come il Buon Samaritano non si è limitato a fermarsi e a soccorrere il viandante aggredito, ma l’ha portato in salvo in un posto sicuro dove poter essere curato e guarito, così la missione di Good Samaritan è quella di fermarsi accanto ai bambini e ai ragazzi più poveri e vulnerabili e offrire loro la possibilità di una vita dignitosa. Questo abbiamo fatto e possiamo continuare a fare soltanto grazie al grande, fedele e costante sostegno di tutti voi amici e benefattori che condividete il nostro progetto. Siamo più che mai convinti che l’educazione sia l’investimento più efficace per offrire ai giovani l’opportunità di costruirsi un futuro dignitoso, di affrancarsi dalla povertà e contribuire al progresso del proprio Paese.
Durante la mia ultima missione ho visitato diverse scuole e incontrato i bambini e i ragazzi che sosteniamo. Nell’ufficio del direttore della Sacred Hearth boarding school (un collegio femminile) ho parlato con la segretaria, una donna di circa quarant’anni che, appena ha saputo chi rappresentavo, mi ha rivelato di aver studiato grazie al sostegno della nostra associazione e che ringrazie noi, e i Comboni Samaritans of Gulu, per la persona che è oggi.
Labalpin Collins è un ragazzo di 25 anni che è stato sostenuto agli studi fino a due anni fa quando si è diplomato meccanico d’auto. Sono andata a trovarlo nel garage dove lavora part-time e il suo capo mi ha detto che è molto contento di lui e che presto lo assumerà a tempo pieno.
Sheila è una ragazza di 21 anni che ha ottenuto il diploma di sarta e stilista. È venuta a incontrarmi con un bel vestito disegnato e cucito da lei. Grazie al kit lavoro che ha ricevuto sta lavorando nella sua capanna e, con i suoi guadagni, spera di poter aprire in futuro un suo piccolo atelier.
Ci sono anche storie di bambini fisicamente e psicologicamente fragili a cui il sostegno a distanza dà la possibilità di essere curati, di mangiare regolarmente e di imparare almeno a leggere e scrivere.
È il caso di Robinson che oggi ha ventun anni, rimasto orfano della mamma alla nascita, abbandonato dal padre, affidato alla nonna materna molto povera. La sua è stata un’infanzia segnata da malattie, ma soprattutto dalla mal nutrizione che ha ritardato la sua crescita e anche il suo sviluppo mentale. Ha potuto iniziare la scuola solo a tredici anni, quando è stato preso in carico da una nostra benefattrice. L’ho incontrato a casa della zia, con cui vive dopo la morte della nonna, e sono stata contenta di trovarlo bene e in salute. Dopo aver ripetuto le prime classi, quest’anno frequenta la Primary 5 ed è riuscito a scrivere da solo qualche frase nella lettera alla sua sostenitrice; mi ha detto che vorrebbe diventare un meccanico: so per certo che se non avesse avuto l’opportunità del sostegno a distanza sarebbe un ragazzo “perso”, abbandonato alle sue fragilità.
Mi ha commosso, e mi porterò sempre nel cuore, Gum: un bambino di dieci anni, cha ha appena iniziato la Primary 1; orfano della mamma alla nascita, sieropositivo, con problemi di crescita, cresciuto senza una figura femminile di riferimento, che mi correva incontro e mi saltava al collo ogni volta che mi incontrava. Forse vedeva in me la nonna che non ha mai avuto.
Sono felice di aver toccato con mano ancor una volta quanto sia preziosa la maternità e la paternità a distanza che voi tutti offrite a tanti bambini che diversamente vivrebbero ai margini della società.