Giro l’angolo e vedo in lontananza un gruppetto di giovani donne. Ognuna di loro ha in braccio un bambino. Mi avvicino e cerco di studiare i visi, di scovare tratti comuni e di leggere negli occhi quello che, a parole, non sapranno dirmi. Sono sette ragazze inserite nel “progetto ragazze madri”, che i nostri partner locali, i Comboni Samaritans o Gulu, hanno chiamato in inglese “Hope Restoration Project” che, tradotto, è un nome bellissimo: “progetto per ripristinare la speranza”.
Simon, l’educatore locale che si occupa del progetto, comincia a porre le prime domande, alle quali rispondono timidamente mentre i bambini invece, complici alcuni biscotti che abbiamo donato loro, sono vivaci e scattanti.
“La vita è molto dura, non solo per l’aumento dei prezzi e per la gestione della sopravvivenza quotidiana, ma anche per la stigmatizzazione di cui siamo vittime!”, si fa avanti Akello Patricia Angel che, a causa dello stress, delle preoccupazioni, delle difficoltà ha avuto gravi problemi di salute durante la gravidanza che le hanno impedito di prendersi cura della bambina una volta nata. I piccoli villaggi dove vivono, e spesso le famiglie d’origine, non vedono di buon occhio le ragazze che hanno figli prima dei 18 anni e questo impedisce loro di ricevere il sostegno psicologico e il supporto pratico di cui hanno bisogno. “I miei famigliari non sono d’accordo che io riceva un’educazione professionale perché il tempo che investo nella mia formazione lo sottraggo ai lavori di casa”, lamenta Lamwaka Patricia che ha soli 16 anni e un bambino di uno. È orfana di padre e lotta ogni giorno per la sopravvivenza della sua famiglia, attraverso l’agricoltura di sussistenza e la vendita di alcool, prodotto con la manioca. È rimasta incinta durante il lockdown mentre frequentava la scuola primaria, che ha dovuto lasciare. Ora, grazie a Good Samaritan, ha la possibilità di frequentare un corso di apprendistato e di diventare parrucchiera: questo le permetterà di sostenere il bambino, ma anche sua madre e le sue due sorelle.
Quando chiediamo loro di parlarci del padre dei bambini, il silenzio si fa ancora più assordante e gli sguardi si abbassano. È un argomento molto delicato, ma qualcuna di loro riesce a confidarsi e a dirci che il padre è assente, non si prende cura di lei e del bambino e spesso la minaccia di picchiarla perché ha ripreso a studiare. Capiamo subito che il nostro aiuto non si limita solo alla distribuzione del cibo e dei beni primari, ma che l’assistenza psicologica è una preziosa risorsa per queste giovani ragazze che hanno subito abusi, violenze, discriminazione, isolamento e che faticano a sopravvivere in un mondo che le mette costantemente a dura prova.
Lanyero Scovia ha 17 anni e una bambina di un anno e mezzo, è totalmente orfana e vive con due fratelli e la zia Abalo Eunice, che ha 36 anni. Insieme agli educatori e ai volontari territoriali andiamo a trovare Scovia a casa sua e veniamo accolti da grandi sorrisi: preparano le stuoie per terra, racimolano qualche sedia scarcassata dai vicini e ci fanno accomodare sotto a un mango. La vita del villaggio è parecchio movimentata, ci sono molti bambini e la figlia di Scovia, che cammina da poco, si muove in autonomia, di capanna in capanna, per raggiungere i suoi amici e giocare. La capanna dove vive Scovia è sgangherata e ha il tetto di paglia malconcio a causa delle piogge. Nonostante la grande povertà, ci ospitano a pranzo e condividiamo con loro un momento conviviale. Quando gli chiediamo quale speranza ha per il futuro ci risponde che l’unica speranza è il corso di apprendistato che le permetterà di diventare sarta. Il suo desiderio è di trovare subito lavoro e di provvedere così alla famiglia e alla bambina.
Nelle successive visite nei villaggi portiamo con noi fagioli, farina, olio, sale, zucchero, sapone e assorbenti e veniamo accolti con grande gioia. Le giovani mamme ritrovano il sorriso e questa volta nei loro occhi leggiamo la gratitudine e l’immensa riconoscenza nei confronti di Good Samaritan che si prende cura di loro.